Auguri al Bloody Mary: ottant’anni e non sentirli

OTTANT’ANNI E NON SENTIRLI: IL BLOODY MARY

Riportiamo questo articolo del “Corriere della Sera” come omaggio per gli ottant’anni dall’invenzione del Bloody Mary perché da anni è uno dei simboli più rappresentativi delle metafore che riportiamo all’interno dell’attività di team building chiamata Bar Challenge. Infatti, come riportato nell’articolo, il Bloody Mary è un cocktail che ben rappresenta l’integrazione tra diverse tecniche.

Spesso usato non solo come cocktail ma anche come un antipasto il Bloody Mary esalta la metafora della ricchezza che deriva dalla fusione tra più elementi: “ognuno dei partecipanti al team building è come se fosse uno degli elementi a disposizione per creare il cocktail. Ognuno con le proprie caratteristiche, positive e negative, con i propri colori emozionali e relazionali, con le proprie peculiarità caratteriali, con la propria esperienza e con la propria formazione, ma solo nella giusta miscelazione ognuno dei partecipanti ritrova una nuova collocazione che può realizzare innumerevoli e nuove soluzioni di successo”.

Di seguito riportiamo l’articolo (leggi sul sito Corriere.it)

king-cole-bar

La data di nascita, in realtà, è controversa. Eppure, ormai ne abbiamo una convenzionale, e tanto vale festeggiare: il Bloody Mary compie ottant’anni. Uno dei cocktail più famosi di tutti i tempi, il primo esempio della fusione tra “tecniche da bar e da cucina” che oggi continua a far impazzire i bartender di tutto il mondo, nasce al King Cole bar dell’Hotel St.Regis di New York per mano del francese Fernand Petiot.

Il suo creatore, che l’aveva chiamato Red Snapper (diciamo che aveva più talento per le miscele che per i nomi), ne raccontò la nascita come un’evoluzione del semplice succo di pomodoro corretto con vodka che beveva l’attore George Jessel, all’epoca assai noto. Petiot ne antepone la nascita al 1921 anche se riconosce la paternità del nome a Jessel. Ma la vicenda resta controversa e, fatti conti, neppure così appassionante.  Certo è che il Bloody Mary, oltre a diventare rapidamente il drink bandiera del St.Regis (ne servivano 150 per serata), fu – insieme con il Martini cocktail di Roosevelt –  il simbolo della fine del Proibizionismo. Più tardi, diventò molto altro, a torto o a ragione: la cura per un’ubriacatura della sera precedente, il drink con cui iniziare le serate per evitare brutte ubriacature, fino al drink non drink: tuttora c’è chi considera il Bloody Mary un antipasto più che un cocktail. La diffusione universale del brunch ne ha fatto la bevanda per eccellenza con cui sostituire rapidamente il caffè. Nei media, l’aperitivone è popolarissimo: dai Tanenbaum alla signora Jefferson a Bridget Jones, tutti sembrano non poterne fare a meno.

Se le origini non sono del tutto disvelate, lo stesso vale per il nome. Bloody Mary, era il soprannome di Maria “la sanguinaria”, Maria I Tudor, che tentò di reintrodurre il cattolicesimo in Inghilterra anche mettendo a morte circa 300 presunti congiurati. Ma secondo molti, il nome potrebbe venire da Mary Pickford, attrice all’epoca immensamente popolare ma già titolare di un cocktail a suo nome. Addirittura, la parola potrebbe essere la storpiatura di Vladimir: Vladimir Smirnov, della famiglia della vodka Smirnoff.

 

Tratto da Corriere.it

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