Rugby, il team building è nella mischia

È LO SPORT DEL MOMENTO IN ITALIA, ANCHE GRAZIE ALLE OTTIME PERFORMANCE DI UNA NAZIONALE SEMPRE PIÙ VINCENTE. ED È UN’IDEA PER TEAM BUILDING ALL’INSEGNA DEL GIOCO DI SQUADRA, INASPETTATAMENTE ALLA PORTATA DI TUTTI

Quindici uomini da una parte, quindici dall’altra. In mezzo l’erba verde di un prato, una porta sbagliata, con pali troppo alti per essere veri. Maglie colorate, fasce sui capelli anche dove capelli non ce ne sono, per proteggere da contatti un po’ troppo rudi. Poi una palla, anch’essa sbagliata, troppo oblunga per essere perfetta, con i suoi rimbalzi incontrollabili. E per rendere le cose più difficili, la si può calciare oppure giocare a mano, ma in questo caso mai in avanti. Questo è il rugby, uno sport di potenza e passione che, dopo una lunga storia semiclandestina sui campi di periferia, si è fatto strada fino al prime time anche in Italia. Tanto da conquistare l’attenzione della meeting industry.

Perché il rugby è perfetto per il team building: purché, sia chiaro, maneggiato con cura. A introdurre l’argomento del rapporto fra rugby e team building (con sapienza, come se si trattasse di un pallone da inserire in mischia) è Lapo Baglini, trainer e consulente formativo: «Innanzitutto serve una precisazione: introdurre il rugby nell’offerta formativa esperienziale della mia società è stata per me una cosa naturale, non ho scelto il rugby per motivi di studio ma per motivi di campo… Sono di parte. Ho giocato (e continuo ancora a giocare ogni tanto, l’ultima volta questa estate) per più di trent’anni, e so bene che senza i compagni, senza la forza e il sostegno della squadra, non sarei sopravvissuto probabilmente a certe mischie aperte, una volta rimasto dalla parte sbagliata del campo».

E quante volte anche in azienda ci si trova “dalla parte sbagliata del campo”… Lo sanno tutti. Ma con il supporto di qualche pilone e di qualche mediano di mischia, la vita è più semplice. «In Italia questa metodologia viene utilizzata da neanche una decina di anni, mentre in altri Paesi, rugbysticamente più evoluti, ha radici più antiche. Si tratta semplicemente di un aspetto culturale, visto che le due attività si sposano a meraviglia». Chi l’avrebbe detto? Quindi non è soltanto possibile, ma addirittura consigliabile il matrimonio fra giacca e cravatta da una parte e le sudice maglie a righe orizzontali dei rugbisti? «A livello generale, tutti gli sport servono per superare la divisione per ruoli e creare, almeno sul momento, entusiasmo e condivisione. Ma con il rugby si riescono a sperimentare tutti quegli elementi che fanno di un gruppo una squadra.Questo sport infatti si rivela un’eccellente metafora per la vita aziendale. Da questo punto di vista il rugby è lo sport di squadra per eccellenza, perché da soli si soccombe da un punto di vista di gioco e fisico. E perché il raggiungimento della meta (il target aziendale) prevede il placcaggio (il superamento degli avversari) attraverso l’analisi del gioco (il resto del mercato) e la scelta della migliore strategia. E poi la flessibilità: a rugby si va sempre avanti passandosi la palla all’indietro, unico sport di squadra con questa caratteristica, un assurdo paradosso che comporta fin da bambini un riadattamento mentale continuo alla situazione, una serie di tattiche, schemi e procedimenti in continuo divenire».

Tutto assolutamente perfetto: lo spirito di squadra, l’autorevolezza, il rispetto degli avversari … Ma durante le partite di rugby che si vedono in tv si vedono spesso dei marcantoni con ghigni terrificanti, lordi di fango, che si caricano con urla selvagge e si picchiano, magari correttamente, ma in modo che del nostro manager medio rimarrebbe sì e no la ventiquattr’ore. Come la mettiamo? Placcaggi, mischie, contatti fisici sono “moderati” oppure realistici? «Molto realistici – spiega ancora Baglini – nella partita finale, alla quale si arriva con un percorso propedeutico. Innanzitutto viene effettuata la classica analisi dei bisogni e una progettazione in linea con gli obiettivi da raggiungere. Un incontro in aula chiarisce i passi del percorso. Poi ci si ritrova sul campo dove colleghi, uomini e donne di diverse fasce di età, si danno battaglia, mettendosi alla prova con coraggio in mischie, touches e momenti di vero e proprio gioco, dove si corre, si placca e si segnano mete. Anche se nella quasi totalità non hanno mai giocato a rugby, vengono coinvolti con esercizi semplici, utilizzati anche nell’allenamento dei giovanissimi, e portati piano piano, con step di difficoltà e intensità progressiva, ad affrontare con coraggio ed entusiasmo un paio di ore di allenamento e di gioco sul campo».

 

Tratto da McOnline.it

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